In Guermandi Group ci occupiamo da anni di doppiaggio, localizzazione e adattamento dei contenuti audio e video per clienti internazionali. Lavoriamo con speaker madrelingua di tutto il mondo e, negli ultimi anni, abbiamo integrato voci artificiali per velocizzare produzioni e testare diverse soluzioni vocali.
C'è un aspetto, però, che continua a rappresentare una sfida quotidiana: la pronuncia dei nomi dei brand e dei prodotti nei diversi mercati.
Una parola, anche se scritta allo stesso modo, può suonare molto diversa da una lingua all’altra. E quando si localizza un contenuto per un altro paese, una domanda si presenta puntuale: meglio mantenere la pronuncia originale – a rischio incomprensione – oppure adattarla alla fonetica locale, sacrificando un po’ di branding?
Il caso delle pronunce storpiate (ma strategiche)
Forse non tutti sanno che in Italia quasi nessuno pronuncia "Nike" come si fa in inglese, con la "i" finale pronunciata (“Naiki”). Eppure, lo spot doppiato in italiano continua da anni a parlare di "Naik", così come "Levi’s" diventa "Levis" (e non "Livaiz") e "Miele" – brand tedesco – viene spesso letto come il miele delle api, anche se altrove si pronuncia “Mìle”.
Queste pronunce non sono errori, ma scelte consapevoli di localizzazione: un compromesso tra il rispetto dell’identità originale del marchio e la necessità di risultare comprensibili e familiari al pubblico locale.
Una decisione da prendere... e mantenere
Optare per una pronuncia “localizzata” è una scelta strategica, che però ha un effetto duraturo. Una volta che un pubblico si abitua a un certo suono, tornare indietro può generare confusione, o peggio, sembrare incoerente.
Inoltre, la pronuncia fa parte dell’identità sonora del brand. Cambiarla significa ridefinire come quel brand "suona" nella mente del pubblico.
Ecco perché noi di Guermandi accompagniamo i clienti anche in questa fase, valutando con attenzione il contesto, il tipo di contenuto, il pubblico di riferimento e i canali su cui verrà diffuso.
Audio, video, web: ogni supporto ha le sue regole
Nel doppiaggio solo la voce fa da guida, e quindi la pronuncia deve essere chiara, immediata, anche in assenza di “supporti visivi”. Se una parola suona strana o ambigua, l’ascoltatore può non capire o – peggio – fraintendere.
Per questo, nell’adattamento di contenuti esclusivamente audio, la chiarezza viene spesso prima della fedeltà fonetica.
Nel caso dei video o dei contenuti per il web, invece, l’impatto visivo può aiutare. Un nome di brand, magari accompagnato da un logo o da un claim scritto a schermo, aiuta l’utente a decodificare il messaggio anche se la pronuncia è più vicina all’originale straniero. Qui, quindi, è possibile osare un po’ di più, e mantenere la musicalità del nome nella lingua d’origine, sfruttando il contesto visivo per chiarire.
L’importanza di un approccio flessibile (ma consapevole)
Ogni contenuto ha le sue esigenze, e ogni brand ha la sua storia, i suoi obiettivi e il suo tono di voce.
Nel nostro lavoro non ci limitiamo a “tradurre” o “registrare”: ci interroghiamo sul significato, sull’effetto, sull’identità. E valutiamo, insieme al cliente, quando conviene restare fedeli all’originale e quando invece serve adattarsi per farsi capire meglio.
Nel mondo delle voci, la pronuncia è una firma. Scegliere come suonare in un altro paese non è solo una questione linguistica, ma una decisione di branding.
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